Christmas’s Ávido – Capitolo VI – Esteban Ávido incontra lo spirito dei Natali presenti

Ma ecco che Ávido si sentì trascinato in un vortice improvviso e si ritrovò accasciato nuovamente sul pavimento del suo salotto. In quello stesso istante, le lancette del Rolex segnarono l’una.

Esteban si alzò, massaggiandosi le ginocchia doloranti per la caduta, poi si stropicciò gli occhi, chiedendosi ancora se si fosse trattato di un sogno fin troppo movimentato, anzi meglio di un terribile incubo, oppure se fosse stato tutto vero. All’improvvisò si udì nell’aria lo schiocco di una frusta e dal fondo del corridoio, proprio dalla stessa porta in cui era comparso lo spettro di Luciano Ferrigno, apparve una slitta rossa fiammeggiante trainata da palestrati in perizoma rosso e corna di renne in testa. A guidarli, con una frusta col manico in Swarovski, un grasso, grosso e bonario bear dalla barba arancione, stretto in un completo di soli lacci, borchie e lattex che fischiettava Jingle Bell Rock. Man mano che procedeva lungo il corridoio, spuntavano candele accese e sospese a mezz’aria, e poi alberi di natale e colonne di doni da scartare. La sua figura troneggiava sulla slitta gigantesca e si fermò solo di fronte ad Ávido, la cui attenzione era catturata solo da quei bei ragazzoni che non mostravano il minimo sforzo nel trascinare quei quintali di carne d’uomo.

«Io», disse il bear con un boccale di birra dorata che era magicamente apparsa nell’altra mano «sono lo Spirito del Natale Presente. Cavolo, quanto sei brutto!» ruttò «Ma non ci siamo già visti prima d’ora?»
«No… io spero di no…» rispose Ávido di fronte a quel sosia tanto brutto di Giuliano Ferrara. Era la visione più nauseabonda che aveva ricevuto finora, con tutto rispetto per l’addolorante scena della sua separazione da Occhi d’Oro.
«Davvero non mi hai mai visto prima? Non mi riconosci? Forse hai incontrato qualcuno dei miei fratelli più grandi».
«No, caro… No… Non credo proprio… Perché avrei dovuto?»
«Proprio nessuno di loro?», disse tutto d’un fiato lo spirito, trattenendo un altro rutto.
«Perché? Quanti fratelli hai?», chiese Ávido disgustato.
«Circa duemilaeotto…»
«Mmm… Uno per ogni rutto… Fammi pensare, niente tv a casa per mamma e papà?» osservò lo stilista.
«Nel tremila saremo tremila!» rispose tutto eccitato lo spirito «Per ogni anno, un nuovo arrivo.»
«Con tutto il rispetto, ma tua madre deve essere l’unica vecchietta millenaria con il traforo del Monte Bianco fra le gambe!» commentò Ávido «Bene, bene, bene. Spirito, eh? Credo… anzi immagino di essere a tua disposizione, dato che sei la seconda apparizione di cui mi ha parlato Luciano. Ma… voglio già dirti che questa notte ho già avuto una bella lezione… Quindi, se quello che mi devi mostrare non aggiunge niente a quello che ho già capito, perché non mi lasci qui e te ne ritorni coi tuoi little Schwarzenegger… ok, magari due di loro possono anche restare a farmi compagnia… a casa? Ho anche un lieve mal di testa che guarda…»
«Prima di dire idiozie che comprometterebbero la tua posizione… Lascia che faccia ciò che deve essere fatto»
«E sarebbe?», chiese con la fronte corrugata Ávido, ma non ebbe neanche il tempo di finire quella domanda che già la frusta dello Spirito del Natale presente lo aveva colpito alla schiena, facendolo urlare così forte che le pareti di casa sua si sgretolarono, mostrando, come in una seconda facciata, muri e arredi che non erano suoi…

Quando la terra smise di tremare, Ávido, lo spettro e le sue “renne” si trovarono dentro un misero e sconosciuto appartamento, abbellito con mobili in noce Anni Settanta, pesantissimi e così out. Davanti a loro però, un tavolo enorme apparecchiato con una orribile tovaglia dai decori natalizi e dai piatti in plastica rossa, così come rossi erano anche i bicchieri. Entrarono trionfanti nella stanza quattro ragazzi fra cui il suo assistente Roberto. I tre ragazzi gli assomigliavano tantissimo, dovevano essere i suoi fratelli, ma solo Roberto era quello più bello o perlomeno, quello che teneva di più al suo aspetto. Ma fu un altro presunto fratello di Roberto ad attirare la sua attenzione, magro e dall’aspetto anemico, indossava una tuta da ginnastica Champions e prendeva posto coi fratelli attorno al tavolo. Quando tutti trovarono posto, ecco entrare una sciura dai capelli grigi, con un grembiule bucherellato e vestita anche lei con una tuta da ginnastica. Aveva l’aria di chi era stata tutto il giorno sui fornelli e, infatti, fra le mani aveva una zuppiera che sembrava bollire.

«Finalmente possiamo metterci a tavola» disse la donna e l’assistente di Ávido fu il primo a voler essere servito, difatti allungò il piatto verso la zuppiera fumante che sua madre aveva appena scoperchiato. Peccato che la donna fece finta di non vederlo e prese invece il piatto del figlio dall’aspetto più malaticcio.

«La salute di quel ragazzo è debole…», disse lo spirito facendosi improvvisamente serio «Lui, come tanti… del tuo genere… ha contratto ciò che non dovrebbe esistere. Pestilenze maledette che dovrebbero essere estirpate dalla Terra, invece che contaminare cuori e corpi. Se nessuno li aiuterà, se nessuno riuscirà a trovare un rimedio, il prossimo Natale quel ragazzino non sarà più seduto là, accanto ai suoi fratelli».
Ávido deglutì rumorosamente, con gli occhi preoccupati che fissavano Roberto e suo fratello che parlavano l’uno accanto all’altro.
«Perché sei così pensoso?», replicò lo spirito beffardo e sorseggiando altra birra dal boccale che, per ogni scolata, si riempiva magicamente di nuovo «Mi sembra che tu sia proprio il tipo di persona che va a sostenere il detto che troppa gente, al mondo, è di troppo».
Ávido tacque e abbassò lo sguardo, ricordando il discorso che aveva avuto con quelle due anziane lesbiche di quell’associazione, poi rimase a guardare la famiglia di Roberto che mangiava con gusto una normale cena e beveva felice.

«E ora un bel brindisi! A Esteban Ávido, che per quanto possa essere una grandissima testa di… organo genitale maschile posto al centro delle cosce… tranquilla mamma non dico parolacce il giorno di Natale, mi ha permesso di stare insieme a voi, senza preoccuparmi minimamente del lavoro!» disse Roberto riempiendosi il bicchiere di vino.
«Vorrei tanto che fosse qui quella checca!» esclamò la madre, incupendosi «Saprei bene io quante e quali parolacce dirgli! Brindisi dei miei coglioni!»
«Mamma!», gridarono in coro i fratelli.
«Io posso dirle le parolacce a Natale, voi no!» replicò la donna «È un uomo da detestare, duro, indifferente, puttaniere con gli uomini, insensibile con tutti, egoista, approfittatore e Dio solo sa quali altre schifezze ha combinato nella sua vita. Ah… ma un giorno qualcuno, figlio mio, lo ripagherà con la stessa moneta. E il mondo di Esteban Ávido cambierà con lui. Una bella rivoluzione, ecco cosa ci vuole. Come ai miei tempi, quando lavoravo nelle fabbriche della Fiat e stavo accanto agli studenti universitari. Il ’68! Che gran bel periodo quello! E vostro padre… Vostro padre quanto era bello ai comizi quando parlava del valore dell’operaio e di ogni individuo! Altro che Ávido! Una femmina al suo confronto!»
«Ok, per mamma basta col vino» disse Roberto che insistette talmente tanto che alla fine anche lei, con un mezzo sorriso sulle labbra, brindò allo stilista. Ávido era impietrito dall’imbarazzo, invece. Mai nessuno aveva fatto una descrizione di lui tanto esatta.

«Ávido…» disse lo spirito riportandolo alla realtà «Quanto paghi a questo tuo impiegato?»
«…700 euro al mese» sussurrò Ávido «Ma non avevo idea che… Lo vedo sempre con abiti firmati a lavoro… Pensavo che…»
«Non sono i suoi… Li prende in prestito dai vostri magazzini… Tutto il suo stipendio lo dà alla madre che lo gestisce per rendere meno sofferente gli ultimi scorci di vita che restavano al figlio malato… E tu… Sciocco, sei solo l’ennesimo approfittatore di un giovane ragazzo» e senza aggiungere altro lo spirito scagliò la sua frusta, colpendolo alle natiche.

Lo zio Nico
Antonio P.

Change privacy settings