Christmas’s Ávido – Capitolo II: Esteban Ávido non è generoso

Il cugino era appena uscito e Ávido non aveva fatto in tempo nemmeno a poggiare le sue terga fashion sulla sedia della scrivania che già un vociare sommesso, fuori dalla porta, aveva iniziato a irritarlo.

Imbastardito come una iena che non sbeffeggia le sciagure altrui da mesi, si alzò di scatto e andò ad aprire la porta, trovandosi di fronte una coppia di lesbiche in età avanzata o forse semplicemente troppo poco considerate da madre natura al momento della nascita e dell’evoluzione: brutte, laide, grandi come armadi dell’Ikea a sei ante, fatte con lo stesso stampo stereotipato con cui gli animatori giapponesi avevano creato Voltron, Mazinga e Goldrake. Stesso taglio di capelli della defunta nonnina dell’Ace e quasi stesso abbigliamento sottomarca comprato a metà prezzo in qualche Auchan dimenticato anche dai navigatori satellitari. Erano parallelamente opposte a tutto quello che lui rappresentava da anni.

«Lei è il signor Ávido? Esteban Ávido, signore? Noi siamo dell’associazione Social World in Progress.», disse sorridente una delle due, guardandolo dritto negli occhi e masticando con la discrezione di un lama. «Abbiamo il piacere di parlare con il signor Ávido? Oppure…» continuò guardando una cartella che aveva in mano «…oppure con il signor Ferrigno?»
«Il signor Ferrigno è morto la notte di Natale di 7 anni fa», rispose glacialmente il bronzeo Ávido, i cui occhi sembravano così piccoli da essere spilli pronti a trafiggerle. Era vero. Ferrigno, Luciano Ferrigno, un metro e ottanta, belle spalle e un culo da far invidia anche al David di Donatello, era stato il suo socio d’affari, fin da quando erano usciti dalle rispettive Accademie d’Arte italiane; diplomati e desiderosi di conquistare un nome altisonante all’interno dell’industria della moda. E ce l’avevano fatta, scalando il mondo delle passerelle con la firma Ávido Ferrigno. Firma che poi si era trasformata in Ávido se siente, alla morte di Ferrigno, stroncato per un’overdose di cocaina nel suo lussuoso attico di via Monte Napoleone, circondato da fanciulli thailandesi rigogliosi e semirigogliosi che non capivano una mezza ceppa di italiano e si esprimevano solo ed esclusivamente col linguaggio del corpo.

«Allora, questo è un triste anniversario» replicò la donna porgendogli un biglietto da visita che Ávido nemmeno si azzardò a prendere «ma certamente la generosità del signor Ferrigno rivivrà in voi!», continuò rimettendo nella tasca posteriore del suo jeans sbiadito il cartellino e aggrottando le sopracciglia: «In questo giorno di festa,», disse senza battere più ciglio «è bene riflettere sulla condizione dei malati e dei meno fortunati nel nostro paese, colpiti dalle più dure sofferenze. Migliaia di persone, signor Ávido, sono prive di ogni benessere e chi ha di più deve pensare al prossimo suo come se stesso».
«Non c’è forse lo Stato, per questo?» ribatté Ávido.
«Certo!!! E la Repubblica Italiana è fondata sul lavoro!» disse sghignazzando «Lo sa anche lei che gli ammortizzatori sociali non bastano per…»
«E la cassa integrazione? E le pensioni di invalidità? Gli accompagnamenti? Non sono gli strumenti che il welfare state usa per aiutare i meno fortunati? O non sono più operativi?»
«Lo sono, signor Ávido, lo sono! Ma sono una miseria rispetto a…»
La seconda signora, che fino a quel momento era rimasta zitta, intervenne tutta indignata:
«Non sono certo sistemi sociali che offrono dignità o sicurezza nei giorni di festa, e neppure negli altri! È per questo che siamo raccogliendo del denaro. È un periodo di profonda crisi, questo, i poveri hanno bisogno di cibo, di vestiti… Facciamo anche delle campagne per la prevenzione dell’Aids!»
«Le feste di Natale sono il momento migliore per simili iniziative…» riprese l’altra. «L’abbondanza è un termine che molti hanno dimenticato. Noi cerchiamo di offrirla sperando di poter essere aiutati da cuori sensibili». Così dicendo apri la cartella e con una Bic mangiucchiata nell’estremità in mano, pronta per scrivere, chiese: «Che cifra posso segnare a vostro nome, signor Avido?».
«Una cifra con tanti zeri!», sibilò lo stilista con gli occhi che prendevano fuoco e uno strano ghigno di piacere sulle labbra.
«Addirittura? Preferisce restare anonimo o mettiamo il suo nome?»
«Preferisco essere lasciato in pace! Non sono felice il giorno di Natale, perciò non intendo fare felici i fannulloni che odio ancor di più di quanto già li odia Brunetta! Assistente-ahimè-inutile, buttali fuori di qui e subito!»
«Ma signore, lei si sbaglia: è tutta gente che si fa un mazzo tanto per…»
«Proprio come facevo io prima che voi arrivaste!» tagliò corto Ávido.

Rendendosi conto che sarebbe stato inutile insistere, le due signore uscirono, accompagnate da Roberto che si profondeva in scuse, e Ávido riprese le sue occupazioni con accresciuta stima di sé e quasi di buon umore.

Giunse l’ora di chiudere gli uffici e, con riluttanza, lo stilista uscì finalmente dal suo studio, nel quale era rimasto chiuso per ore, senza mai uscire. Immediatamente, l’assistente spense la pompa di calore nella stanza di Ávido, ancora accesa e a temperatura Tropici, godendone leggermente visto che aveva battuto i denti tutto il giorno, poi si mise il borsalino vintage in testa e si preparò per tornare a casa.
«Immagino che domani passerai le feste con la tua famiglia» borbottò lo stilista con tanta indifferenza, mentre Roberto lo aiutava a infilarsi il trench.
«Beh… se fosse possibile, Maestro…»
«Ti dovrei lasciare andare a casa senza ulteriori compiti lavorativi da svolgere per domani, dunque?».
«Se fosse possibile… Maestro…»
«Bella scusa per poltrire e non combinare nulla!», ribatté Ávido, mentre si lasciava aiutare nell’indossare anche il cappotto. «E sia, ti concedo tutta la giornata. Ma devi essere puntuale il 27 mattina!», disse infine quando fu pronto per uscire.

L’assistente sorrise e si arrotolò ancora di più la sciarpa intorno al collo, tanto stretto da sembrare il cappio di un impiccato e, sempre sorridendo, scortò il suo datore di lavoro fino alla sua Lancia Delta, dove lo attendeva l’autista con il motore già acceso. Poi, quando lo vide allontanarsi nel traffico milanese, corse con quanto fiato aveva in gola verso i parcheggi a pagamento, direzione Borgo San Siro, dov’era la sua casa e dove tutta la sua famiglia lo attendeva per festeggiate il Natale.

Lo zio Nico
Antonio P.

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